Il global warming è una realtà scientifica e misurabile? Il risparmio energetico o comunque la gestione del settore energetico in relazione ai cambiamenti climatici è il nostro futuro? La questione climatica continua a dare occasione di forti contrasti tra negazionisti e catastrofisti. Recentemente un comunicato di una Agenzia dell’ONU, incaricata di fare rapporti sul clima, giovandosi peraltro, di dati raccolti da altri e senza monitorare direttamente la temperatura e gli altri dati, ha rivelato che si è esagerato sulle conseguenze del riscaldamento globale climatico come lo scioglimento dei ghiacciai, le emissioni di gas serra ed altro, rinvigorendo così il fronte degli scettici. In realtà,
evitando le posizioni ideologiche estreme, occorre essere molto prudenti nel formulare previsioni poiché i modelli metereologici che guardano al futuro possono contenere errori perché hanno a che fare con fenomeni naturali non lineari che a volte accelerano, a volte rallentano. Sul passato, invece, non si possono nutrire dubbi perché si hanno riscontri oggettivi provenienti da una molteplicità di dati che indicano, senza ombra di dubbio, che il pianeta si sta surriscaldando in quanto la temperatura sta crescendo in modo troppo netto per essere negato. Certamente occorre monitorare con maggiore esattezza alcuni dati essenziali come l’andamento delle emissioni di gas serra nell’aria, le temperature, lo spostamento e la diminuzione del volume dei ghiacciai, lo spostamento degli alberi, la quantità di pioggia e neve, lo specchio antisole cioè la quantità di energia che viene assorbita dalla terra e quella che torna nell’atmosfera determinando l’inquinamento e la formazione di nuvole. Uno degli eventi più importanti del 2009, per quanto riguarda il clima, è costituito certamente “dall’Accordo di Copenaghen” anche se questo si è ridotto ad una sintetica dichiarazione di principi ed impegni che dovranno essere verificati nelle applicazioni. La strada che porta alla speranza risiede nell’accordo tra i Paesi che sono rimasti fuori dall’accordo di Kyoto, USA, Cina, India, Brasile e Sud Africa. L’obiettivo di giungere a contenere l’aumento della temperatura entri i due gradi Celsius si basa sull’applicazione di tale accordo, quindi, nella prima fase, alla emanazione di programmi concreti di riduzione delle emissioni condivisi e comprendenti meccanismi sanzionatori, nonché da negoziati bilaterali tra cui spicca quello tra USA e Cina che contribuiscono a più del 40% delle emissioni totali di gas serra. Attualmente, nel 2009, la Cina ha avuto un aumento di produzione del 46% mentre gli USA una diminuzione del 21% anche se bisogna tenere presente la differenza tra i due sistemi che vede, per la Cina un Pil del 8% (inimmaginabile per l’Occidente) considerato disastroso per l’occupazione di un Paese tanto grande. Ovviamente l’accordo dovrebbe comprendere I’UE che con i suoi 550 milioni dovrebbe avere un ruolo decisivo di avanguardia specie nel risolvere il conflitto tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo, sulla ripartizione del contributo alle emissioni di CO, considerando che nel frattempo i consumi non si sono ridotti ma sono aumentati del 28% e 500 milioni di individui più ricchi del mondo sono responsabili del 50% delle emissioni di CO2. Come di solito accade ci sono diverse interpretazioni dei risultati dell’accordo di Copenaghen, c’è chi vede un arretramento rispetto a Kioto non essendo uscito un testo legale simile al trattato di Kyoto con obblighi,vincoli e sanzioni. L’unico numero presente nell’accordo è un 2, cioè la volontà, l’impegno che la temperatura di fine secolo non superi un incremento di 2 gradi centigradi. Ma per arrivare a tale obiettivo occorrerebbe fissare dei limiti al 2020 (25/40% di riduzione delle emissioni) 2050 (riduzione del 50%). Ma nel testo tali limiti non ci sono rimane, quindi, un impegno generico. Comunque Cina ed India hanno successivamente sottoscritto l’accordo e questo è molto importante perché i due Paesi asiatici sono, con gli USA, i principali generatori di CO2. La Cina si è impegnata a tagliare del 40% la sua intensità carbonica cioè il volume di emissioni di CO2 per ogni aumento percentuale del Pil entro il 2020 rispetto al 2005, gli USA del 17%. In generale sono essenziali le politiche di riduzione delle emissioni e di impiego delle fonti rinnovabili, di riduzione dei consumi delle automobili e di iniziative di investimenti di USA, Cina ed UE nonché l’impegno di stanziare 30 miliardi di dollari per aiutare i Paesi poveri ad affrontare il cambiamento climatico.
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